LA CHIMERA

DIRETTO DA ALICE ROHRWACHER

SINOSSI

Ognuno insegue la sua chimera senza mai riuscire ad afferrarla. Per alcuni è il sogno del guadagno facile, per altri la ricerca di un amore ideale…
Di ritorno in una piccola città sul mar Tirreno, Arthur ritrova la sua sciagurata banda di tombaroli, ladri di corredi etruschi e di meraviglie archeologiche.
Arthur ha un dono che mette al servizio della banda: sente il vuoto.
Il vuoto della terra nella quale si trovano le vestigia di un mondo passato.
Lo stesso vuoto che ha lasciato in lui il ricordo del suo amore perduto, Beniamina.
In un viaggio avventuroso tra vivi e morti, tra boschi e città, tra feste e solitudini, si svolgono i destini intrecciati di questi personaggi, tutti alla ricerca della Chimera.

Scritto e diretto da

ALICE ROHRWACHER

Prodotto da

TEMPESTA con RAI CINEMA

In coproduzione con

AD VITAM PRODUCTION e AMKA FILMS PRODUCTIONS

In coproduzione con

RSI RADIOTELEVISIONE SVIZZZERA SRG SSR e ARTE FRANCE CINÉMA

Con la partecipazione di

ARTE FRANCE, CANAL +, CINÉ +

In associazione con

TRT-SINEMA

Con il supporto di

MIC - MINISTERO DELLA CULTURA DIREZIONE GENERALE CINEMA E AUDIOVISIVO

Con il supporto di

UFFICIO FEDERALE DELLA CULTURA

Opera realizzata con il sostegno di

AIDE AUX CINEMAS DU MONDE – CENTRE NATIONAL DU CINEMA ET DE L’IMAGE ANIMEE – INSTITUT FRANÇAIS

World premiere

FESTIVAL DE CANNES 2023

Durata

134'

NOTE DI REGIA

Un mondo sotterraneo
Nel luogo in cui sono cresciuta capitava spesso di ascoltare storie di segreti ritrovamenti, di scavi clandestini e di avventure misteriose. Bastava restare in un bar la sera tardi, o fermarsi in una fraschetta di campagna per sentire di quel tale che col trattore aveva scoperchiato una tomba villanoviana, o dell’altro che scavando di notte vicino alla necropoli aveva rinvenuto una collana d’oro così lunga da poter circondare una casa, e dell’altro ancora che era divenuto ricco, in Svizzera, vendendo un vaso etrusco che aveva trovato nell’orto. Storie di scheletri e fantasmi, di fughe e di oscurità. La vita che mi stava attorno era costituita di più parti: una solare, contemporanea, affaccendata, e una notturna, misteriosa, segreta. C’erano molti strati, e tutti ne facevamo esperienza: bastava scavare per pochi centimetri la terra ed ecco che tra i sassi appariva un frammento di manufatto, fatto da altre mani. Da che epoca mi stava guardando? Bastava recarsi nelle stalle e nelle cantine dei dintorni per rendersi conto che quei luoghi erano stati altro, erano forse tombe etrusche, rifugi d’altre epoche, luoghi sacri. Questa vicinanza tra il sacro e il profano, tra la morte e la vita, che ha caratterizzato tutti gli anni della mia crescita mi ha sempre affascinato ed ha dato una misura al mio sguardo. Per questo ho deciso di fare finalmente un film che racconti questa trama stratificata, questo rapporto tra due mondi, probabilmente l’ultimo tassello di un trittico su un territorio che si interroga su una domanda centrale: che cosa fare del passato? La morte è qualcosa che la nostra società ci impone di affrontare individualmente, al massimo all’interno di una famiglia. Invece, confrontandomi col passato, vedevo un’idea della morte integrata nella vita e nella collettività.

poveri tombaroli
La Chimera racconta le vicissitudini di una banda di tombaroli, cioè di profanatori di tombe etrusche e rivenditori di oggetti antichi a ricettatori locali. Siamo negli anni ottanta. Coloro che decidono di diventare “tombaroli”, di varcare quel tacito confine tra il sacro e il violabile, lo fanno per dare una svolta al passato, per divenire nuovi, altro. Sono indiscussamente uomini, forzuti, giovani, maledetti. Loro non appartengono al passato, non sono figli dei loro padri che sono cresciuti vicino a quelle tombe antiche senza mai violarle. Loro sono figli di sé stessi. Il mondo gli appartiene: possono entrare in luoghi considerati tabù, possono spezzare i vasi, arraffare offerte votive, commercializzarli. Per loro sono solo anticaglie, cose vecchie. Non sono più cose sacre. L’ingenuità di chi ha seppellito quelle cose li fa ridere. Anzi, si chiedono come sia possibile che un popolo abbia lasciato sotto terra tutte quelle ricchezze proprio per delle anime… ma quali anime… l’oro se lo vogliono godere, altrochè! Gli etruschi hanno dedicato la loro arte, la loro maestranza, le loro risorse all’invisibile. Per i tombaroli semplicemente l’invisibile non esiste.

trafficanti d’arte o piccoli ingranaggi?
In un mondo dove la grande centrale elettrica è costruita sopra le vestigia di un santuario, in un mondo profanato, chi sono i profanatori? Il cantastorie che incontriamo nel film canta “il tombarolo è una goccia nel mare”. E in effetti è così. La Chimera affronta anche uno dei temi più vasti che hanno riguardato l’Italia e molti paesi culle di antiche civiltà nel Novecento e soprattutto dal dopoguerra in poi, che è il mercato delle opere d’arte antiche, il loro traffico illecito, in particolare dei beni archeologici, aiutato dall’incuria e dall’abbandono dei siti archeologici. Questo traffico si è affermato in particolare nella zona dell’Etruria, e ha messo radici tra i giovani di una generazione spinta da un moto di rivalsa che voleva in qualche modo vendicarsi di una serie di torti subiti socialmente. Volevano guadagnare in un altro modo, senza padroni, sentivano quasi che i ritrovamenti gli spettassero di diritto in quanto abitanti di quella zona. Questo diritto non scritto proviene probabilmente dalla memoria di grandi compagnie di scavo finanziate da privati, come ad esempio le campagne archeologiche volute da Luciano Bonaparte o dal Re di Svezia, che marcarono la memoria degli abitanti dell’Etruria. Eppure questi tombaroli, così fieri del fatto di andare in giro a distruggere antichi siti archeologici e antiche tombe per ricavare dei soldi, sono in realtà niente altro che “piccoli ingranaggi”, pedine e vittime di un sistema molto più grande di loro. Pedine che credono di avere un potere decisionale, ma fanno soltanto gli interessi di un mercato dell’arte che, almeno negli anni ‘80 e ‘90, era completamente sradicato dal territorio. È un traffico che ha dei numeri superiori a quelli del mercato della droga, e che per decenni in Italia è convenuto molto di più del traffico di sostanze stupefacenti in quanto si rischiava molto meno: i processi avvenivano in una maniera sommaria e non per direttissima, ma come dicevano ridendo i tombaroli, “I processi avvengono per lentissima”. Ed ecco che questi predatori sono in realtà prede di un mercato dell’arte molto più grande che li contiene. E Spartaco, il/la ricettatore/trice, con la sua barca sospesa nel lago e il suo colore giallo oro, ne è uno dei simboli.

Arthur, lo straniero
Protagonista assoluto de La Chimera è Arthur, lo straniero. Abita sulle mura della città: né dentro né fuori. Viene da un paese non ben identificato, Inghilterra, Irlanda… Ma forse non è importante, lui stesso non vuole svelarlo. Escluso dal viavai quotidiano eppure parte determinante della banda che lo ha scelto come guida e capo, Arthur fa parlare molto di sé. Arthur è diverso da tutti loro in quanto non appartiene né al territorio né alla banda. Quello che lui cerca non sono il guadagno, i soldi, l’avventura, ma qualche altra cosa che è difficile da condividere. Gli piace, è vero, frequentare la banda, subisce il fascino del paese con le sue feste, le sue luci, i suoi fuochi e quel senso di comunità che lui non ha mai sentito. È una fascinazione di antica memoria, che condivide con i tanti giovani che dal nord scendevano in Italia durante il loro Grand Tour restandone ammaliati. Ma non gli basta. Come Orfeo che cerca Euridice (l’Orfeo di Monteverdi scandisce i capitoli del film), così Arthur sente che scavando può trovare qualcosa che ha perduto, fosse la famosa e tanto cantata “porta dell’aldilà”. E aldilà c’è Beniamina, la donna che ha perso molti anni prima, la sua radice. La Chimera è anche una storia di amore, ma che non può risolversi in un amore individuale. Arthur sente la nostalgia dell’amore, di qualcosa che ci lega agli altri, la nostalgia di una radice. È il filo rosso di Beniamina? Forse è quella la radice che rende ogni uomo parte di qualcosa di più grande, di sacro.

visivamente
Abbiamo lavorato con tre formati di pellicola: il 35 mm che si presta all’affresco, all’iconografia, alla grande pagina illustrata che interrompeva i libri di fiabe, il super16 mm che ha una densità narrativa e una capacità sintetica senza pari, e che come una scrittura magica riesce a farci entrare direttamente nel cuore dell’azione, e il 16mm rubato da una piccola cinepresa amatoriale, come fossero degli appunti a matita sul bordo di un libro. Nel racconto de La Chimera ho provato a intrecciare dei fili molto lontani tra di loro, come in un arazzo d’oriente. Ho provato a giocare con la materia del film, rallentando, accelerando, cantando, dichiarando e ascoltando. Osservando gli uccelli in volo, che per gli etruschi rappresentano il nostro destino. Perché la cosa più importante è, come dentro un caleidoscopio, riuscire a rintracciare nella storia di un uomo la storia degli uomini, e ritrovarci tutti insieme attorno ad un film a chiederci che cosa disgraziata e buffa, che cosa commovente e violenta sia l’umanità.

BIO

Alice Rohrwacher è nata a Fiesole, ha studiato a Torino e Lisbona.
Ha scritto e lavorato come musicista per il teatro, prima di avvicinarsi al cinema, inizialmente come montatrice di documentari.
Nel 2011 gira il suo primo lungometraggio, Corpo Celeste, presentato a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs e poi selezionato ai festival di Sundance, New York, Londra, Rio e Tokyo.
Il suo secondo film, Le Meraviglie, vince il Grand Prix al Festival di Cannes nel 2014, mentre il suo terzo film Lazzaro Felice (2018), si aggiudica, sempre a Cannes, il premio per la migliore sceneggiatura, ottenendo importanti consensi internazionali.
Nel 2015 dirige The Djess, cortometraggio della serie Miu Miu Women’s Tale.
Nel 2016 mette in scena La Traviata di Giuseppe Verdi al Teatro Valli di Reggio Emilia.
Nel 2020 firma per Rai ed HBO la regia del terzo e quarto episodio dell’acclamata serie L’amica geniale – Storia del nuovo cognome tratta dai romanzi di Elena Ferrante.
Nel 2021 presenta a Cannes (Quinzaine) il documentario Futura che ha co-diretto insieme a Pietro Marcello e Francesco Munzi.
Nel 2023 viene candidata agli Oscar nella categoria Best Live Action Shorts per Le Pupille coprodotto da Alfonso Cuarón per Disney.

Cast artistico

Arthur JOSH O’ CONNOR
Italia CAROL DUARTE
Flora ISABELLA ROSSELLINI
Spartaco ALBA ROHRWACHER
Melodie LOU ROY LECOLLINET
Jerry GIULIANO MANTOVANI
Mario GIAN PIERO CAPRETTO
Melchiorre MELCHIORRE PALA
Fabiana RAMONA FIORINI
Il portuale LUCA GARGIULLO
Beniamina YILE VIANELLO
NELLA BARBARA CHIESA
VERA ELISABETTA PEROTTO
Rossa CHIARA PAZZAGLIA
Sista FRANCESCA CARRAIN

Cast tecnico

Scritto e diretto da ALICE ROHRWACHER
Fotografia HÉLÈNE LOUVART (AFC)
Montaggio NELLY QUETTIER
Scenografia EMITA FRIGATO
Costumi LOREDANA BUSCEMI
Trucco ESMÉ SCIARONI
Acconciature DANIELA TARTARI
Organizzatore GIORGIO GASPARINI
Direttore di produzione ALESSANDRO STELLA
Fonico di presa diretta XAVIER LAVOREL
Microfonista JULIEN D’ESPOSITO
Montaggio del suono MARTA BILLINGSLEY
Fonico di mix MAXENCE CIEKAWY
Aiuto regia NICOLA SCORZA
Aiuto artistico alla regia TIZIANA POLI
Casting director CHIARA POLIZZI (UICD)
Casting internazionale FIONA WEIR
Acting coach TATIANA LEPORE
Segretaria di edizione SARA CAVANI